Dentro l’assenza

In questo lavoro, il fotografo carrarese Andrea Andreoni ci introduce in uno spazio-rovina segnato da qualcosa di simile al silenzio avvenuto dopo una catastrofe: una sedia senza corpo, un volto graffiato di una donna, finestre sigillate dove cresce l'erba, un vecchio negozio con le parole "nuovo" e "usato" incise, quest'ultima parola diventa il punto focale dell'elogio del fotografo in questa mostra, l'apprezzamento per ciò che è già stato usato, la bellezza di ciò che un tempo è stato qualcosa e ora è abbandonato.

L'uso della luce ci permette di vedere attraverso le crepe e l'architettura un passato, qualcosa che è stato abitato e oggi ci invita a rivederlo, con quella malinconia di chi torna in una città d'infanzia per trovarla cambiata. Questa stessa luce delimita democraticamente le superfici, senza distinzione nei concetti di periferia, città o rurale. Tutto può essere parte dello stesso muro abbandonato. Queste fotografie ci invitano a perderci in qualcosa che supera la nozione di paesaggio e si apre come memoria, rovina e futuri.

Le opere esposte sono un salvataggio in bianco e nero di ciò che non ha un'utilità nella società. Il fotografo esalta l'assenza attraverso l'eliminazione di ogni traccia umana come un brillante trionfo del non antropocentrico. Vediamo un lenzuolo che avvolge un albero, con rami che imitano braccia, un non-corpo fatto di rami, che ci ricorda l'umano, ma che non lo incarna. La nostalgia è pregnante nel viaggio fotografico, ci ricorda il concetto Barthiano di assenza, l'assenza è sempre di chi rimane, quindi il fotografo sarebbe colui che presenzia a questa assenza di umani e fotografia. In queste foto si parla di assenza più che di morte. Dove sono finiti tutti? o, Dove sono? Sono domande che emergono vedendole nel loro insieme.

La presentazione di queste opere, così malinconica, mi ricorda il poema del poeta cileno Jorge Teillier.

Quando tutti andranno su altri pianeti io rimarrò nella città abbandonata bevendo un ultimo bicchiere di birra, e poi tornerò al paese dove torno sempre come il bambino a cavalcare sull'altalena rotta. E nel paese non avrò nulla da fare, se non mettermi lucciole nelle tasche o camminare lungo binari arrugginiti o sedermi al bancone logoro di un negozio per parlare con vecchi compagni di scuola.
Il lavoro di Andreoni è un invito a ricordare il mondo, come se fossimo in un'epoca già vissuta, e a ricordare questi paesaggi e oggetti come se fossero nostri, a far parte di questa memoria collettiva, di una malinconia intima, universale e luminosa.